martedì 20 ottobre 2009

Italo Calvino Tutto in un punto, in Cosmicomiche, Torino, Einaudi, 1965

Si capisce che si stava tutti lì, -fece il vecchio Qfwfq,- e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo
spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo,
stando lì pigiati come acciughe?
Ho detto “pigiati come acciughe” tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era
spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno
degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti. Insomma, non ci davamo
nemmeno fastidio, se non sotto l’aspetto del carattere, perché quando non c’è spazio, aver
sempre tra i piedi un antipatico come il signor Pbert Pberd è la cosa più seccante.
Quanti eravamo? Eh, non ho mai potuto rendermene conto nemmeno approssimativamente.
Per contarsi, ci si deve staccare almeno un pochino uno dall’altro, invece occupavamo tutti
quello stesso punto. Al contrario di quel che può sembrare, non era una situazione che favorisse
la socievolezza; so che per esempio in altre epoche tra vicini ci si frequenta; lì invece, per il fatto
che vicini si era tutti, non ci si diceva neppure buongiorno o buonasera.

[…] Il gran segreto della signora Ph(i)Nko è che non ha mai provocato gelosie tra noi. E
neppure pettegolezzi. […]

Si stava così bene tutti insieme, così bene, che qualcosa di straordinario doveva pur accadere.
Bastò che a un certo momento lei dicesse: -Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe
farvi le tagliatelle!- E in quel momento tutti pensammo allo spazio che avrebbero occupato le
tonde braccia di lei muovendosi avanti e indietro con il mattarello sulla sfoglia di pasta, il petto
di lei calando sul gran mucchio di farina e uova che ingombrava il largo tagliere mentre le sue
braccia impastavano impastavano, bianche e unte d’olio fin sopra al gomito; pensammo allo
spazio che avrebbero occupato la farina, e il grano per fare la farina, e i campi per coltivare il
grano, e le montagne da cui scendeva l’acqua per irrigare i campi, e i pascoli per le mandrie di
vitelli che avrebbero dato la carne per il sugo; allo spazio che ci sarebbe voluto perché il Sole
arrivasse con i suoi raggi a maturare il grano; allo spazio perché dalle nubi di gas stellari il Sole si
condensasse e bruciasse; alle quantità di stelle e galassie e ammassi galattici in fuga nello spazio
che ci sarebbero volute per tener sospesa ogni galassia ogni nebula ogni sole ogni pianeta, e nello
stesso tempo del pensarlo questo spazio inarrestabilmente si formava, nello stesso tempo in cui la
signora Ph(i)Nko pronunciava quelle parole: -...le tagliatelle, ve’, ragazzi!- il punto che conteneva
lei e noi tutti s’espandeva in una raggiera di distanze d’anni-luce e secoli-luce e miliardi di millenniluce,
e noi sbattuti ai quattro angoli dell’universo (il signor Pbert Pberd fino a Pavia), e lei dissolta
in non so quale specie d’energia luce calore, lei signora Ph(i)Nko, quella che in mezzo al chiuso
nostro mondo meschino era stata capace d’uno slancio generoso, il primo, “Ragazzi, che tagliatelle
vi farei mangiare!”, un vero slancio d’amore generale, dando inizio nello stesso momento al
concetto di spazio, e allo spazio propriamente detto, e al tempo, e alla gravitazione universale, e
all’universo gravitante, rendendo possibili miliardi di miliardi di soli, e di pianeti, e di campi di
grano, e di signore Ph(i)Nko sparse per i continenti dei pianeti che impastano con le braccia unte
e generose infarinate, e lei da quel momento perduta, e noi a rimpiangerla.



Pigiare schiacciare, premere
sotto l’aspetto per quanto riguarda, dal punto di vista di
avere tra i piedi (tra le scatole) qualcuno essere infastidito da qualcuno
seccante fastidioso, scocciante
nemmeno neppure, neanche
così bene proprio bene, veramente bene, tanto bene
pur(e) anche; in questo caso: proprio, certamente, senza dubbio
mattarello strumento da cucina cilindrico, usato per stendere la pasta
mucchio tanto, molto, "un sacco", "un mare", "una marea", "una montagna"
ingombrare creare un ingombro, occupare lo spazio
tagliere strumento da cucina piano, usato per tagliare
impastare mischiare la pasta
sugo il condimento per la pastasciutta, il succo di un piatto cucinato
sbattere colpire, urtare; lanciare lontano
unto grasso, sporco di oli
rimpiangere sentire la mancanza, piangere la mancanza di qualcuno/qualcosa



Domande

Cosmicomiche è una raccolta di racconti pubblicata nel 1965 da Italo Calvino, uno degli scrittori italiani più conosciuti del XX secolo. Ogni racconto prende spunto da una scoperta scientifica, un pretesto per la fantasia dello scrittore che la dichiara prima della narrazione.


  1. Secondo te, cosa significa il titolo della raccolta?

  2. Abbiamo letto un estratto del racconto Tutto in un punto, secondo te Calvino ha preso spunto da quale scoperta scientifica? Cerca nel testo e sottolinea i termini e le frasi che esplicitano il legame tra il racconto e il mondo scientifico.

  3. Il punto unico è il «luogo» dove è ambientato il racconto. Alla fine, Qfwfq parla dell'universo. Eppure, è chiaro che Calvino descrive l'Italia e gli italiani. Cerca nel testo i termini che fanno riferimento all'Italia e argomenta la tua scelta.

2 commenti: